ETNO-FOTO-APPEAL
Walter
Benjamin, che è stato, tra l'altro, un grande interprete della fotografia,
ragionando sulla moda ebbe a citare un'operetta di Leopardi intitolata
"dialogo tra la moda e la morte". Secondo quest'ultimo, la grande sfida
tra le due entità - la più effimera e la più definitiva
- si gioca intorno al conflitto con l'organico. Ed è proprio la
moda che fa valere, nei confronti del vivente, "i diritti del cadavere".
E' a questo punto che Benjamin conia una delle sue metafore più
audaci: il sex appeal dell'inorganico. La cosa non vivente, anche come
merce o moda, non è solo fonte di estraneazione o di angoscia: quanto
di attrazione.
La fotografia
- non come concetto astratto, ma come immagine stampata - è l'esempio
più "ordinario" di tale sex appeal. In essa, la sfida tra il mondo
vitale dell'organico e il mondo spento dell'inorganico trova una costante
accensione. Il desiderio che scorre nell'immagine fissa e immobile di una
foto è esattamente quello dell'inorganico. Della cosa. E', infatti,
questo mondo della reificazione che è vissuto come l'estrema seduzione,
come piacere inestinguibile.
Ed è
proprio il piacere reificato che spinge tale irresistibile sex appeal (e
l'etichetta di lingua inglese ma di cultura americana esprime in Benjamin,
sottili e intriganti ironie) a trovare in questa cosa leggera, bi-dimensionale,
in bianco-e-nero o a colori, il suo feticcio maggiore. Feticcio plurale:
usabile indifferentemente sia in senso etnografico, sadiano o marxiano.
Ogni foto recita la sua parte di "Grande Feticcio" che ci parla, nonostante
la sua apparente assenza di parole, dell'inestinguibile piacere che ci
donano le cose morte.
Massimo Canevacci |