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OPERA ULTIMA DI BOETTI

 
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La Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, in coincidenza con il secondo anniversario della morte di Alighiero Boetti (Torino, 1940 - Roma, 1994), ha voluto dedicare all'artista una mostra monografica dove è possibile ammirare le ultime sue opere mai viste in Italia e realizzate poco prima della sua morte prematura.
Alighiero Boetti è stato uno dei maggiori protagonisti del movimento artistico denominato "arte povera" che si sviluppò nella fine degli anni '60, giungendo poi a realizzare, nella sua maturità artistica, il proprio contributo creativo alla poetica dell' "arte concettuale", caratteristica della metà degli anni '70.
Le opere presenti in questa mostra dal titolo "Opera ultima" sono quattro.
La prima è Oeuvre postale (1993), caratterizzata da buste e francobolli che in progressione numerica creano cinquecento buste e quattrocentomila francobolli secondo un'invasione progressiva dello spazio; la seconda opera è Alternando da 1 a 100 e viceversa (1993), rappresentata da 50 tappeti detti kilim, tessuti da artigiani dell' Afganistan, coi quali Boetti collaborava ormai da anni, vivendo un rapporto di continua e reciproca crescita umana e artistica. L'opera ha dimensioni notevolmente grandi se si pensa che ognuno di questi cinquanta tappeti ha la dimensione di 280 cm. x 280 cm. L'insieme dei kilim sono stesi nel pavimento della Galleria e creano così posti, l'uno vicino all'altro un unico percorso interpretativo; di notevole interesse risulta essere anche l'opera Tutto (1994), realizzata come l'altra opera appena citata grazie alla preziosa collaborazione della straordinaria minuzia creativa dell'artigianato di alcune rifugiate afghane che operano in Pakistan.
Si tratta di un ricamo di 240 cm. x 680 cm., realizzato secondo il principio di creare varie forme diverse tra loro ma con una forte capacita di coesione reciproca. Vi è la perdita così di ogni possibile ed eventuale punto di vista privilegiato da parte del fruitore, che si trova piacevolmente attratto ad ammirare, affascinato come un bambino, tutte le molteplici combinazioni delle varie figure che compongono questa opera. "Dal concetto di originaria frantumazione, attraverso quello di perdita di identità, si approda a Tutto. Tutte le immagini del mondo si combinano in un unica opera. Tutti i colori del mondo si sommano in una composita armonia. [...]Tutto è realizzato attraverso un procedimento dissociato: è pensato dall'artista, disegnato da una mano e tessuto da un'altra. Spesso queste mani differenti appartengono a persone di altre culture, che portano nel lavoro un diverso bagaglio di tradizioni, di visioni del mondo, di emozioni" (L. Cherubini, 1992).
Tutto potrebbe leggersi in tutti i modi possibili, il fruitore può percepire significati e movimenti, azioni, colori, oggetti più svariati, apparentemente incongrui tra loro, che si moltiplicano all'infinito. Queste molteplici figure sono state prese da quotidiani, libri per bambini, edizioni sulla natura, immagini pubblicitarie, vi sono anche oggetti di uso quotidiano come delle forbici, una forchetta, un compasso, un paio di occhiali; si tratta di forme che hanno ognuna una propria e diversa caratterizzazione, nessuna figura e uguale all'altra, tutto è diverso, tutto ha un proprio movimento interno. Emblematica è la scritta in persiano presente nell'arazzo che dice: "Lasciamo volare i piccoli uccelli della libertà".
Così Boetti espone alla storica dell'arte Daniela de Dominicis, la condivisione che egli fa con altri collaboratori circa l'esecuzione dell'opera: "Questa è stato per me un ulteriore conferma che la mia aspirazione è quella di operare come un regista cinematografo: avere gli operatori, l'editing, l'organizzazione del lavoro. Ci sono vari gradi di collaborazione: lavori soltanto esecutivi, altri per i quali invece il collaboratore ha invece una forte autonomia. Gli arazzi, per esempio, hanno una collaborazione esecutiva più o meno buona per la qualità del ricamo e, ovviamente, per la scelta dei colori. Questa viene effettuata dalle donna afghane che hanno una lunga tradizione culturale in questo senso. Il loro Paese ha cessato la produzione di arazzi negli anni venti, i primi arazzi che hanno ripreso ad eseguire sono i miei. Queste donne hanno un gusto straordinario nella scelta dei colori. Io dico loro semplicemente "usate tutti i colori" - che sono cento -, non avreila possibilità di seguirne la scelta."
L'ultima opera che completa la mostra di Boetti alla galleria Nazionale d' Arte Moderna è Tappeto (1994), costituito da una trama in lana e decorato in cotone secondo la tecnica tradizionale dell'annodatura.
Questo tappeto è il primo di una serie di altri cinque tessuto anch'esso a Peshawar (Pakistan) da maestri tappai afghani. Al centro dell'opera vi è un'immagine assiale costituita da piccole forme rotonde, quadrate e triangolari che dividono lo spazio in due parti.
Tra chi ideò l'opera (Boetti), e il maestro di tappeti che la realizzo ci fu un feeling creativo comune, che li unirà probabilmente anche nella morte: infatti Azam Aslam morì in un agguato qualche tempo dopo la morte di Alighiero Boetti. I due "...avevano in comune un paio di punti non dichiarati: una struttura logica del fare, la consapevolezza che la realtà non è figurativa[...]C'è una scientifica grazia nell'essere in due.(G.B. Salerno, 1996).
I motivi che più si ritrovano in questo tappeto sono provenienti dal mondo della quotidianità dell'artista: come un violino raddoppiato che apparteneva alla madre di Boetti, un gioco del figlio Giordano, un fiore sbocciato, un cartoncino pubblicitario; inoltre vi sono motivi decorativi a croce ripresi da un tappeto persiano presente nella camera da letto dell'artista o dei serpentelli inseriti nella zona centrale del Tappeto, che si trovavano in un vaso presente sempre nella casa dell'artista.
L'artista si fece chiamare fin dagli inizi della sua produzione artistica in un modo che risulta essere emblematico della sua natura di artista e del suo modo di fare arte: Alighiero e Boetti. La "e" che lega il suo nome al suo cognome è indice di quell' idea di alterità così presente nella poetica dell'artista, infatti con quella vocale non si vuole intendere una lettera ma una congiunzione che si riscontra solo con il riconoscimento della distinzione reciproca tra il nome Alighiero e il cognome Boetti. Non per questo bisogna considerare Alighiero rappresentativo dell' individuo privato: era sempre lui, l'artista ma nella valenza complementare di Boetti "...come il disordine sta all'ordine, il provvisorio al definito [...]Non principi antitetici, piuttosto modalità diverse, alternanza di manifestazioni asimmetriche da ordine e caos , secondo le cosmegonie della più antiche saggezze filosofiche, e secondo le più moderne teorie scientifiche sull'origine dell'universo. Ciò che Alighiero amava più nei tappeti turkmeni o nei tradizionali arazzi di Bukhara era, nascosto nell'apparente simmetria assiale del motivo, l'errore sublime, la dissimetria, la dissonanza di una losanga o di un mazzolino di fiori in più, come imperfezione deliberata e omaggio umile alla perfetta armonia divina"(Anna Marie Sauzeau, 1996).
 
 

Maria Anna Tomassini
 


 
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