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Burri a Monaco
Monaco, Stadtische Galerie im Lenbachhaus
Luisenstrasse 33 - tel. 089/23332000
dal 5 febbraio 1997 al 6 aprile 1997

 
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La retrospettiva che Monaco dedica a Burri, e che prima di venire in Germania ha riscontrato un grande successo nel pubblico italiano con la mostra che si è tenuta a Roma, rappresenta tutto l'excursus artistico dell'artista umbro, nato a Città di Castello nel 1915 e morto in Francia nel 1995.
La scelta delle opere così come la loro disposizione è stata voluta dal pittore stesso, che ha deciso di esporre anche quattro piccoli quadri di tendenza figurativa che sono le prime opere che Burri realizzò durante la sua prigionia in Texas avvenuta nel corso della seconda guerra mondiale. Fu proprio negli Stati Uniti che Burri, casualmente, da medico di guerra che era, decise di prendere tela e pennelli per iniziare a dipingere. Burri ha voluto che questi quattro quadri, poco noti al grande pubblico, fossero posti proprio alla fine della mostra perché li considerava a parte, per tipologia tecnica e contenuti tematico-pittorici, rispetto alla più nota produzione artistica dei Sacchi e delle Plastiche degli anni successivi.
La guerra come dramma umano, oltre che morale e oggettivo è vissuta dall'artista come trauma psicologico dilaniante, che non finirà mai di esistere, anche dopo anni e anni dalla fine della guerra. Mentre non sappiamo quanto il suo modo di fare arte sia stato o meno condizionato dalla sua attività precedente di medico di guerra, siamo certi, anche da dichiarazioni dello stesso Burri che la guerra come atroce avvenimento della sua esistenza ha invece fortemente condizionato la sua arte.
La lacerazione dell'uomo, presente nelle opere dell'artista, è "risolta" nei suoi famosi Sacchi con evidenti toppe, cuciture, rammendi, a prova che le ferite per quanto possano essere saturate, rimarranno sempre ferite, il cui dolore durerà in eterno.
L'opera di Burri fin dall'inizio è carica di tensione nella rappresentazione del tragico vivere. Non c'è il figurativo nella sua arte nemmeno l'astratto, ma solo e unicamente la poetica dell'informale che trova il massimo della sua espressione attraverso l'uso della materia, carica di tensione, dilaniata da una sofferenza esistenziale.
L'altro rappresentante italiano di fama internazionale della poetica dell'informale è stato Fontana che insieme a Burri esalta la prospettiva della materia ma mentre il primo esegue dei tagli nelle sue tele che esaltano la profondità esistenziale della materia, Burri al contrario ne evidenzia il rilievo della tela verso l'esterno. Ad esempio con la nota tela Il gobbo rosso, che rappresenta la morfologia collinare del paesaggio umbro, la tensione materica si espande oltre la dimensione dell'opera che sembra come lievitare, avvicinando così, inaspettatamente, il fruitore all'opera stessa. "...la categoria di informale rientra sotto la definizione più vasta di poetica dell'opera aperta. Opera aperta come proposta di un "campo" di possibilità interpretative, come configurazione di stimoli dotati di una sostanziale indeterminatezza, così che il fruitore sia indotto a una serie di "letture" sempre variabili; struttura, infine, come "costellazione di elementi che si prestano a diverse relazioni reciproche." (Umberto Eco, L'informale come opera aperta in Opera Aperta, Bompiani, Milano, 1962).
Gli esordi della produzione artistica di Burri sono segnati da una chiara influenza del costruttivismo russo, evidente nella tendenza a considerare la tela come incontro tra diverse funzioni geometriche, successivamente i materiali che userà saranno la juta (lasciata nel suo colore originario), i legni, le plastiche, per giungere poi all'uso dei ferri, saldati, fusi, come gli altri materiali, trasformati in un continuo processo catartico e rigeneratore attraverso l'uso del fuoco, che brucia e crea, muore e vive ogni volta che esiste, pulsione di morte che fa generare la pulsione di vita.
Così avviene infatti nell'opera Nero Plastica, 1963 (coll. Burri, Città di Castello, creato con plastica, combustione su telaio di legno), caratterizzato da una notevole quantità di materia dilaniata e fusa dal calore del fuoco, creando così fori deformi o regolari che sembrano rappresentare la morfologia di un del suolo lunare.
Nell'opera Rosso di Plastica, 1964, vi è la rappresentazione di fasci muscolari che si distendono e sovrappongono tra loro; un materiale così artificiale come la plastica ha la potenzialità di descrivere ciò che più di naturale vi è nell'uomo: il suo corpo.
Segnaliamo al pubblico anche l'opera Il grande ferro, 1971, di straordinaria tensione espressiva, caratterizzato da più lastre di ferro di color bronzo, quasi un monocromo, che fa evidenziare il tono rosso, di un unica tagliente striscia verticale che rappresenta l'idea di sangue e di ferita. Lo sguardo di chi osserva l'opera è attratto dalla giuntura tra le due lastre di ferro poste una in rilievo rispetto all'altra, la cui scissione sembra rappresentare l'idea di separazione da cui fuoriesce il sangue ferito.
"I Ferri si presentano infatti con una nuova durezza, come una pittura del tutto monocroma [...] dove le ombre dei tagli creano neri d'ombra. Mentre nei Sacchi e nelle Plastiche, più che nei Legni, che in certi casi preannunciano la poetica dei Ferri, la tragedia sembra costretta in fatto preciso, diviene episodio, nei Ferri diventa maggiormante assoluta, investe tutto con la cruda durezza delle lamiere taglienti, é l'antipittoricità della materia monocroma...(Maria Guidi Gambillo, 1961).
Burri con la sua arte, con il suo sguardo attento e scrutatore delle sue tele ci invita ad indagare nel buio della nostra anima, ritrovare un pò di quella tragica ma per questo vitale separazione dal nostro grembo materno. La fine di un mondo come unica condizione per appropriarsi di un altro mondo: quello in cui viviamo; una separazione, per questo ferita che ci porteremo sempre dentro.
Le opere di Burri sono come un viaggio, silenzioso e senza tempo nell'inconscio del nostro Io. Uno spazio infinito, dove il ricordo della ferita primordiale trasforma la tela in "opera aperta".

Maria Anna Tomassini


 
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Burri inedito, Maurizio Calvesi, Charta, 2000

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