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La fotografia è un segno.
Ne pratico l'uso, discorsivo o poetico, come si usa fare con i segni.
Non uso foto mie, scattate da me, ma di altri, con cui a volte mi accordo, o di sconosciuti, famosi o ignoti. Uso le fotografie come segno portante, buon conduttore di significato.
Il taglio, la scelta del tono, l'intensità del colore, o l'alterazione della foto che qualche volta opero, rientra nella pratica poetica dell'espressione.
Dunque per me è un segno linguistico, di natura o di cultura, come un coccio archeologico, o una frase fatta nel discorso verbale. La uso come una materia, anche se già elaborata, una forma e una citazione, come lo sono tutte le cose del mondo, anche d'arte. Succede di inserire il disegno di un artista in un collage.
Sto dicendo che ogni segno ha connotati propri, alla pari di una lisca di pesce o un rasoio, ma non tali da non poter essere inseriti in un contesto che mette in asse e modifica o utilizza il senso di origine per un senso ulteriore. Ogni segno proviene da altri segni, idoneo ad entrare nell'organizzazione di segni successivi, anche se esso (una foto in questo caso) è già un'organizzazione compiuta di segni. Il risultato finale è un diverso senso, e un nuovo simbolo.
La cultura è questo testo-contesto, come lo è, sempre, ogni pratica espressiva.

                      Fabio Mauri
 

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