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    La filosofia immobilizza e quindi è iscritta nel segno della morte, nell'arresto del tempo, nel rifiuto del suo trascorrere, come pure successione di istanti senza fedeltà e senza memoria.
    Rispetto al tempo, la fotografia è ribellione. E' tentativo disperato di trattenere per sempre frammenti di senso che il tempo divora incurante di quanto la vita macina, nel tentativo di reperire qualcosa laggiù, in quell'indifferenza temporale che inghiotte ogni cosa.
    In questa lotta vince il tempo, ma la fotografia costituisce la sua obiezione interna, il gesto dell'eroe che dice no alla morte e all'oblio che, dopo la morte, è il modo definitivo di morire.
    Come gesto disperato di sopravvivenza, la fotografia afferra per un istante la vita e la gioca con la sua ombra, prima come sfondo di un volto, e poi come sua parvenza, sopravvivenza sbiadita, ricordo, dove è la memoria a combattere le ultime lotte, perché l'insignificanza del mondo non cancelli tutti i tentativi di senso che i volti portano incisi come tracce che si rifiutano alla cancellazione.
    Gioco della memoria e dell'oblio, la fotografia lotta con la scansione del tempo e il tentativo di eternare l'istante, mentre l'eco metafisico dell'essere e del non-essere, del tempo e dell'eternità porta al silenzio la sua risonanza e in un attimo, nell'attimo che crea l'immagine, dice che l'intera vita dell'uomo è solo un insensato frammento che si ribella alla sua insensatezza.

             Umberto Galimberti
 

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